SEQUESTRABILITA’ DELL’ASSEGNO BANCARIO CONSEGNATO A GARANZIA DI UN DEBITO

Ci si pone la questione della sequestrabilità di un assegno bancario consegnato a garanzia di un debito.

Si può chiedere all’Autorità Giudiziaria di disporre il sequestro di un assegno bancario consegnato a garanzia di un debito onde evitare che chi lo detiene lo porti all’incasso con conseguente danno per colui che lo ha emesso?

Per rispondere a tale quesito occorre innanzitutto analizzare la giurisprudenza in merito alla nullità del patto di garanzia conclusosi con la consegna dell’assegno.

La nullità del patto di garanzia

Deve considerarsi, infatti, che secondo consolidata giurisprudenza l’assegno bancario non può mai essere emesso a garanzia di un debito. Alle parti, infatti, non è consentito di modificare la funzione tipica dell’assegno stesso che è quella di un normale mezzo di pagamento delle obbligazioni. Il patto con cui due soggetti si accordano per il rilascio di un assegno bancario a scopo di garanzia, quindi, è nullo perché è contrario alle norme imperative dell’ordinamento contenute negli artt. 1 e 2 R.D. 21.12.1933 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio di conformità alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume di cui all’art. 1343 c.c (norme che, come detto, conferiscono inderogabilmente all’assegno la natura di uno strumento di pagamento).

Dal momento, inoltre, che il predetto vizio di nullità del patto di garanzia colpisce soltanto l’accordo delle parti ma non anche l’assegno o il contratto nell’ambito del quale tale accordo è stato raggiunto, ne consegue che l’assegno vale come promessa di pagamento (cfr., Cass., n. 4368/95); spetta all’emittente, quindi, l’onere di dimostrare l’inesistenza del debito onde evitare che esso possa essere portato legittimamente all’incasso in qualsiasi momento dal creditore. Si veda, ad esempio: “l’emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia – nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del r.d. n. 1736 del 1933 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume, enunciato dall’art. 1343 c.c., sicché, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 c.c. il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 c.c.” (cfr. Cass., 24/05/2016, n. 10710; Cass., n. 4368/95).

Ne consegue che l’assegno privo di data è nullo quale titolo di credito, anche se, nei rapporti tra traente e prenditore, esso vale a dimostrare la sussistenza di una promessa di pagamento a norma dell’art. 1988 c.c., implicando, di conseguenza, solo una presunzione “iuris tantum” dell’esistenza del rapporto sottostante, fino a che l’emittente non fornisca la prova dell’inesistenza, dell’invalidità o dell’estinzione di tale rapporto (cfr., Cass. 16.11.1990 n. 11100; Cass. 5.11.1990 n. 10617; Cass., n. 4368/95). Ciò che viene a configurarsi, in altre parole, è una presunzione semplice inerente all’esistenza, tra le parti, di un rapporto di debito-credito, per vincere la quale grava sul debitore l’onere della prova circa l’inesistenza o l’invalidità del rapporto stesso ovvero circa l’avvenuto adempimento della propria prestazione.

In sintesi, quindi, la nullità del patto di garanzia conclusosi con la consegna dell’assegno non determina automaticamente il venir meno del debito sottostante. Dal momento che l’assegno vale comunque come riconoscimento di debito, al fine di chiederne il sequestro è necessario dimostrare anche che quel debito non esista.

L’ottenibilità del sequestro giudiziario

Chiarito quanto sopra sicuramente sussiste il diritto sostanziale del richiedente a rientrare nella disponibilità del titolo.

Per verificare l’ottenibilità del sequestro giudiziario ai sensi dell’art. 670 c.p.c. occorre ora verificarne la sussistenza dei requisiti di legge sotto il profilo processuale.

Orene, come noto la tutela cautelare del sequestro è invocabile anche in ipotesi di azioni personali aventi ad oggetto la restituzione della cosa da altri detenuta in quanto il termine possesso, utilizzato dall’art. 670 c.p.c. unitamente a quello di proprietà, non va inteso in senso strettamente letterale rientrando in esso anche la detenzione (Cass. 16 novembre 1994, n. 9645).

Ne consegue, pertanto, l’astratta sequestrabilità di un assegno detenuto da un’altra persona.

Come sopra accennato, inoltre, sotto il profilo del fumus boni iuris, il ricorrente deve dimostrare l’avvenuta stipulazione del patto di garanzia con consegna dell’assegno bancario al creditore e l’insussistenza del debito sottostante.

Sotto il profilo del periculum in mora, infine, è pacifica l’opportunità di provvedere alla custodia del titolo nelle more del giudizio onde evitare che la parte detentrice dell’assegno lo ponga all’incasso alla data di scadenza con frustrazione delle ragioni del richiedente.

In conclusione, quindi, l’ordinamento consente di richiedere e ottenere dall’Autorità Giudiziaria la concessione di un sequestro giudiziario di un assegno bancario consegnato a garanzia di un debito previa dimostrazione della sussitenza dei requisiti richiamati.

Avv. Marco Napolitano

AUMENTO DEL COSTO DELLE MATERIE PRIME: POSSIBILI RIMEDI

Aumento del costo delle materie prime: possibili rimedi contrattuali.

E’ ormai noto che negli ultimi mesi sono sono registrati significativi e imprevisti incrementi dei prezzi di acquisto delle materie prime utilizzate nei cicli produttivi. L’aumento del costo delle materie prime è dovuto a diversi fattosi scatenanti, tra cui la difficoltà di far viaggiare le merci nel contesto pandemico in corso.

Tale fenomeno deve considerarsi necessariamente straordinario e imprevedibile in quanto travalica le normali fluttuazioni del mercato che generalmente possono influenzare qualsiasi rapporto commerciale.

Per tale ragione può ritenersi necessario attuare dei possibili rimedi sia in relazione ai contratti in corso sia per quelli di futura stipulazione.

Possibili rimedi per i contratti già stipulati

Per quanto concerne i contratti in corso in primo luogo occorre effettuare innanzitutto un’analisi del singolo caso concreto, se l’accordo è stato stipulato in forma scritta.

In particolare è opportuno verificare il contenuto delle condizioni generali e particolari per appurare se esistano o meno nel testo del contratto clausole che già prevedano la possibilità di adeguare i prezzi o che regolino l’ipotesi dello stato di necessità o dell’impossibilità temporanea o definitiva di eseguire la prestazione. In tal caso la richiesta di adeguamento dei prezzi a causa dell’aumento del costo delle materie prime potrebbe essere avanzata richiamandosi alla normativa contrattuale.

Solo nel caso in cui il contratto scritto non preveda nulla in merito, per procedere ad una specifica richiesta di rinegoziazione a causa dell’aumento del prezzo delle materie prime occorre richiamarsi alla normativa codicistica e agli orientamenti giurisprudenziali.

Al fine deve innanzitutto invocarsi il principio di solidarietà previsto dall’art. 2 della Costituzione, che regola sia la gestione delle sopravvenienze che perturbano dell’equilibrio originario delle prestazioni contrattuali, sia la scelta dei rimedi di natura legale e convenzionale. Tale principio trova la propria applicazione concreta nei precetti che impongono alle parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.) secondo i quali ciascuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l’interesse dell’altro se ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio.

Di recente tale impostazione è stata fatta propria dalla Suprema Corte di Cassazione (relazione 8 luglio 2020, n. 56) la quale si è espressa in senso favorevole alla rinegoziazione delle clausole durante la vita del contratto al fine di adattarlo alle sopravvenienze che ne alterano l’equilibrio. Viene delineato un vero e proprio obbligo contrattuale della controparte a intavolare trattative a condurle correttamente secondo quanto prevede l’art. 1374 c.c. in omaggio al principio generale di conservazione del contratto sotteso all’art. 1361 c.c., fermo restando il fatto che non sia obbligatorio addivenire ad una rinegoziazione effettiva dell’accordo.

In caso di aumento del costo delle materie prime potrebbe rilevare la norma che regola le circostanze sopravvenute per causa non imputabile al debitore tali da rendere la prestazione parzialmente impossibile ai sensi dell’art. 1464 c.c., in forza della quale può domandarsi la riduzione della prestazione incisa dal maggior costo sopravvenuto; tuttavia se il creditore non ha interesse a ricevere un adempimento parziale il contratto si risolve.

Potrebbe altresì invocarsi la fattispecie di cui all’art. 1256 comma 2 c.c. che regola l’impossibilità temporanea di adempiere la prestazione a causa dell’incremento del costo delle materie prime, per cui il debitore non è responsabile per il ritardo per il tempo in cui la prestazione è impossibile, ma l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a rendere la prestazione non più di interesse per il creditore.

Potrebbe infine invocarsi al fattispecie che regola l’eccessiva onerosità sopravvenuta di eseguire la prestazione, prevista dall’art. 1467 c.c., che si riscontra nell’ipotesi in cui avvenimenti straordinari e imprevedibili estranei alle parti contrattuali, straordinari sul piano oggettivo e impronosticabili alterino il nesso di interdipendenza anche economica tra le prestazioni. In tal caso la parte che subisce tale effetto può chiedere la risoluzione del contratto, che l’altra parte può evitare proponendo la modifica di alcune clausole o condizioni.

Possibili rimedi per i contratti futuri

Con riferimento, invece, ai contratti futuri si ritiene opportuno, laddove possibile, l’inserimento di specifiche clausole di revisione dei prezzi collegate all’andamento della quotazione delle materie prime. Tali clausole andranno diversamente modulate a seconda della tipologia di contratto e delle specifiche condizioni generali e particolari. Potrebbe essere opportuno riferirsi a borsini dei prezzi con carattere di ufficialità, come quelli rilevati periodicamente dalle Camere di Commercio o le rilevazioni Istat e gli indici delle principali borse merci e materie prime.

Nel caso in cui tali dati manchino o non siano facilmente rilevabili potrebbe essere opportuno inserire nel contratto una specifica clausola di nomina di un soggetto esterno “arbitratore” (art. 1473 c.c.). Tale figura sarebbe chiamata a determinare  la misura dell’eventuale aumento/diminuzione del prezzo delle materie prime, a verificare la sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione della revisione prezzi e a determinare il prezzo applicabile alle prestazioni dedotte nel contratto.

Avv. Marco Napolitano

PROTESTI E REGISTRO INFORMATICO: COS’E’ E COME FUNZIONA?

Oggi sempre più persone vengono inserite nel registro informatico dei protesti per aver saltato il pagamento di una rata del mutuo o del finanziamento per l’acquisto di un bene come l’automobile. Pertanto se queste persone volessero richiedere un nuovo prestito la domanda viene sicuramente respinta a causa della segnalazione come cattivo pagatore. Così come in caso di protesto viene revocata la carta di credito. Negli ultimi anni un eventuale cattivo pagatore non solo è segnalato nel registro informatico dei protesti, ma anche in banche dati come CTC, Experian, Crif e Banca d’Italia.

Cos’è il protesto?

Il protesto è un’atto con cui un Pubblico Ufficiale (notaio, ufficiale giudiziario, segretario comunale) autorizzato constata la mancata accettazione di una cambiale tratta o il mancato o il rifiuto del pagamento di una cambiale, di un vaglia cambiario o di un assegno. In caso di cambiale il protesto deve essere levato entro 2 giorni rispetto alla data di pagamento. In caso di assegno il protesto viene levato entro il termine di presentazione dell’incasso che è di 8 giorni se l’assegno è emesso nello stesso comune, 15 giorni in caso di emissione fuori dal comune, 20 giorni per l’assegno estero/europeo e 60 giorni per l’assegno extracomunitario.

Il Pubblico Ufficiale quando constata il mancato pagamento entro il giorno successivo alla fine del mese ha l’onere di comunicare il nominativo alla Camera di Commercio competente per territorio l’elenco dei protesti verbalizzati che entro 10 giorni devono essere pubblicati nel registro dei protesti cosi da rendere la notizia accessibile e consultabile al pubblico al fine di tutelare chiunque abbia rapporti economici con il protestato; tale registro viene aggiornato mensilmente come predisposto dalla legge n. 235/2000, entrata in vigore il 27 dicembre 2000.

Il registro dei protesti contiene tutte le informazioni relative al protesto contestato, compresi i dati anagrafici del protestato. 

Come si può cancellare il protesto?

Ciascun protesto è conservato nel registro informatico per 5 anni dalla data di registrazione. Ciò significa che un eventuale mancato pagamento avvenuto nel 2021 sarà presente nel registro informatico dei protesti fino al 2026. 

La cancellazione prima di questo termine, dopo il pagamento del debito, è consentita in 3 casi:

1. Dopo il pagamento entro 12 mesi dalla notifica del protesto (con maggiorazione del 4/1000 dell’importo segnato su cambiale o assegno e rimborso spese). La cancellazione avviene pressoché in automatico;

2. Con l’emissione del decreto di riabilitazione da parte del Tribunale su istanza presentabile mediante patrocinio di un avvocato che è necessaria se l’assegno o la cambiale sono stati pagati oltre i 12 mesi dalla notifica del protesto. A tal fine è necessario presentare istanza di cancellazione affinché il Tribunale certifichi il possesso dei seguenti requisiti: aver effettivamente pagato l’assegno o la cambiale e il non aver altri protesti a carico. Tale decreto di riabilitazione deve poi essere presentato alla Camera di Commercio unitamente alla ricevuta di pagamento, che provvederà a cancellare il protesto dal registro;

3. In caso di errori riscontrati nella notifica del protesto. 

Dopo 5 anni il protesto viene automaticamente cancellato per legge senza fare alcuna domanda; naturalmente non si estingue il debito.

Dott.ssa Chiara Faccin