Di frequente ci si pone la questione se un soggetto che ha debiti con il Fisco possa liberamente disporre di propri beni mobili o immobili che potrebbero teoricamente essere pignorati dall’Erario per soddisfare le proprie ragioni.
Colui che ha debiti con il Fisco e al contempo è intestatario di beni, può liberamente disporne?
Naturalmente può disporne, ma non liberamente. Soprattutto se gli atti di disposizione siano posti in essere in modo simulato proprio al fine di sottrarsi al pagamento dei debiti con il Fisco.
L’art. 11 del D.Lgs. 74/2000, infatti, prevede una fattispecie di reato molto particolare che ha come interesse la tutela della garanzia patrominiale offerta al Fisco dai beni del debitore e più in generale, quindi, del diritto di credito del Fisco che sfocia nella procedura di riscossione coattiva.
La norma – al primo comma – punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi, dell’IVA, di interessi o sanzioni amministrative relative a dette imposte, se superano euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sul propri o altrui beni tali da rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Il reato, così come concepito, rientra nella categoria dei reati di pericolo, in quanto punisce l’autore della condotta di sottrazione indipendentemente dal successivo adempimento dell’obbligazione tributaria: pagare il debito tributario, quindi, non esime dalla punibilità per le condotte fraudolente commesse in precedenza sui propri beni finalizzate ad evitare tale pagamento.
Il reato può essere commesso dal solo contribuente, ossia colui che abbia un debito con il Fisco; tuttavia talvolta del reato può essere incriminato anche colui che concorra nel reato con il contribuente, come il funzionario che sistematicamente omette i controlli e favorisce la distrazione di somme che avrebbero potuto essere impiegate per estinguere i debiti della società (cfr. Cass. Pen. sez. III n. 46833).
Affinché sia integrabile il reato dal punto di vista dell’elemento soggettivo – “fine di sottrarsi al pagamento di imposte di ammontare complessivo superiore a euro cinquantamila” – occorre che l’agente abbia volutamente sottratto beni alla procedura di riscossione il cui valore di realizzo sia uguale o superiore a tale importo.
Inoltre è opinione dominante che il debito tributario debba preesistere alla condotta tipica, non essendo concepibile l’ipotesi che tali azioni fraudolente vengano poste in essere in relazione a debiti di cui l’autore abbia programmato l’insorgenza.
Le condotte incriminate sono le seguenti:
– “aliena simulatamente“: tutte le ipotesi di trasferimento ad altri della proprietà (per donazione, compravendita, permuta…) di un bene sia nell’ipotesi in cui le parti non abbiano voluto produrre alcun effetto giuridico tra loro (simulazione assoluta) sia che abbiano inteso porre in essere un contratto diverso da quello apparente (simulazione relativa: nel cui ambito si può ricondurre anche l’interposizione fittizia di persona). Vi è chi ritiene, tuttavia, che non debba rientrare nella categoria della simulazione l’ipotesi della compravendita a prezzo vile che mascheri una donazione, in quanto l’intento dell’agente è comunque quello di trasferire il bene; la simulazione, in questo caso, non riguardarebbe l’alienazione ma solo il titolo in base al quale è avvenuta.
– “compie altri atti fraudolenti“: si ritiene siano quelle condotte caratterizzate da artifici tendenti a prospettare una situazione diversa da quella reale, così impendento al procedimento di riscossione coattiva di aggredire i beni del debitore. La giurisprudenza, in realtà, tende ad operare un’interpretazione molto ampia del concetto di fraudolenza, fino a farvi rientrare qualsiasi condotta che sia idonea a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione (come nell’ipotesi di costituzione di un fondo patrimoniale avente ad oggetti beni mobili ed immobili del contribuente – Cass. Pen., sez. III, 04.04.2012 n. 40561). Non compie una condotta fraudolenta ai fini prospettati dalla norma chi “pur nella pendenza di un’esecuzione esattoriale, si limiti a disporre dei propri beni prelevando integralmente dal conto corrente le somme in precedenza ivi depositate” (Cass. Pen. Sez. III, 16.05.2012 n. 25677) o di colui che, dopo la notifica degli avvisi di accertamento, doni la nuda proprietà di immobili a una persona cara (Cass. Pen. Sez. III, 12.05.2016 n. 30497).
Occorre infine considerare che il requisito dell’idoneità degli atti fraudolenti a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva vengano meno tutte le volte in cui la condotta dell’agente non sia idonea a porre in pericolo la procedura di riscossione coattiva: come ad esempio quando altri beni residui in capo al debitorie siano idonei a soddisfare per intero i crediti fiscali oppure quando si tratta di atti fraudolenti inerenti beni impignorabili.
In conclusione, quindi, al fini della punibilità della condotta è pur sempre necessario che l’agente abbia disposto dei propri beni strumentalizzando fraudolentemente degli strumenti leciti predisposti dall’ordinamento al fine di rendere difficile all’Erario l’idividuazione e l’aggressione degli stessi tramite l’azione di riscossione coattiva.
Avv. Marco Napolitano